La trentesima Marcia della Pace scuote ancora una volta le coscienze

Anche quest’anno, migliaia di persone, sfidando vento, freddo e pioggia, non son voluti mancare al tradizionale appuntamento e son scesi in strada per dire il loro si alla pace, all’integrazione e all’uguaglianza ed il loro fermo no alla violenza, alla cultura mafiosa, all’illegalità diffusa.

 

Di seguito L’INTERVENTO DEL NOSTRO PARROCO all’inizio della Marcia e l’articolo di Attilio Sergio sulla Gazzetta del Sud. 

Marcia della Pace 2018– Saluto iniziale di don Pino Demasi

In un mondo “frantumato” in cui si combatte una “guerra mondiale a pezzi, ci ritroviamo  ancora una volta insieme  per affermare che  la pace è possibile e che è il bene più prezioso dell’umanità.

Ancora una volta, la sera del primo giorno dell’anno, per la trentesima volta, Polistena ed il suo comprensorio in Marcia per la Pace.

Un popolo in  marcia che non accetta di vivere da spettatore, di guardare dalla finestra, di osservare tutto da quella bolla di sapone – per utilizzare un’ immagine così chiara di Papa Francesco – ma scende per strada. Qualcuno può pensare che non serve a niente. Non è vero. Crediamo che la pace è sempre qualcosa di artigianale e che l’impegno di ciascuno per la pace può e deve far cambiare questo mondo.

Saluto e do’ il benvenuto al Pastore della nostra Chiesa, S. E. Mons. Francesco Milito, al Signor Sindaco della città e agli altri signori sindaci del nostro comprensorio, ai confratelli sacerdoti, a tutte le autorità civili e militari, ai rappresentanti delle Associazioni e dei movimenti e a tutti voi presenti che ancora una volta questa sera avete accolto l’invito dell‘ Associazione “Il Samaritano”.

Cari amici , Noi siamo qui questa  sera perché convinti più che mai che la pace non è solo assenza di armi che uccidono: è dignità di vita, speranza in un futuro migliore, cieli aperti all’orizzonte dell’esistenza di una persona e dei suoi cari, in particolare dei più piccoli e indifesi tra loro.

Siamo qui allora per assumerci ognuno e tutti insieme le nostre responsabilità.

La Pace la costruiamo a partire dal nostro territorio, così intriso di cultura mafiosa e quindi di illegalità diffusa, di violenza,  di soprusi, di non tutela dei diritti: pensiamo alle tante povertà, alla devastazione delle risorse naturali e all’inquinamento in atto; alla mancanza di lavoro e alla tragedia dello sfruttamento del lavoro; alle violenze sulla donna; ma pensiamo anche con sofferenza, al gioco d’azzardo, al fenomeno dilagante dell’usura, alla criminalità, al rifiorire della prostituzione.

Ed in questa situazione a pagarne le spese sono sempre i poveri, gli ultimi e ultimi tra gli ultimi i migranti.

Non a caso Papa Francesco in questa giornata della Pace ci invita a guardare con particolare attenzione i Migranti.

Dobbiamo  cambiare i nostri stili di vita, i nostri modi relazionarci. Dobbiamo fare dello spazio di terra che il Signore ci  ha dato, un luogo più abitabile, dove ci sia posto per tutti. Dobbiamo costruire città di Pace.

Ma oltre alla nostra responsabilità personale , un ruolo importante, come ci ha ricordato ieri sera nel suo messaggio il Capo dello stato, spetta alla politica, che ha il compito di intercettare i cambiamenti e governarli  “ per evitare- sono parole del capo dello Stato – che possano produrre ingiustizie e creare nuove marginalità.

La politica non può essere un gioco di potere sulle speranze delle persone, un’umiliazione dei loro diritti e delle loro aspirazioni. 

Questo territorio non può continuare ad essere un luogo dove il lavoro e la salute non siano diritti sacrosanti dei cittadini. La politica  ad ogni livello deve finire di giocare a ping pong. Questo vale nei confronti dei calabresi e nei confronti dei   migranti. Non è possibile assistere più ad un inferno chiamato baraccopoli San Ferdinando – Rosarno. Come non è possibile che  800 mila bambini e ragazzi già italiani per essere nati nel nostro Paese, sono stati delusi nella loro richiesta di essere riconosciuti come tali. Farlo sarebbe stato un atto non solo di umanità ma di intelligenza, perché non c’è strumento migliore dell’integrazione e della condivisione di diritti e doveri per costruire pace, sicurezza e giustizia sociale. 

Non resta che tanta vergogna per tutte queste situazioni , e la speranza, affidata a noi che siamo qui questa sera e alle migliaia di persone che tra ieri sera ed oggi in varie città italiane sono in marcia per costruire il popolo della Pace  e che, come sottolineavo prima, intendono metterci la faccia ed impegnarsi   contro gli egoismi, le chiusure, le identità posticce e i richiami ai passati tragici, per una nuova politica che torni ad essere motore di civiltà e progresso.

In questo contesto vorrei ricordare, a dieci anni dalla morte, don Oreste Benzi.

La lotta per la pace è stata una costante della sua vita: il suo essere nonviolento era in ogni battaglia, ed è la base su cui ha fondato la Comunità Papa Giovanni XXIII. Fu tra i primi a comprendere l’importanza dell’intervento civile nei conflitti armati, dell’obiezione di coscienza e del servizio civile. Nel 2001, in una lettera all’allora Presidente del Consiglio scriveva: “Condividendo direttamente la vita degli handicappati, dei tossicodipendenti, dei minori senza famiglia, cerchiamo di far arrivare la loro voce ovunque, specialmente a chi ha il potere di liberare ed opprimere. (…) Di tanti ministeri esistenti, avrei voluto che lei ne avesse aggiunto un altro: il Ministero della Pace. Da quando l’uomo esiste la terra non ha mai cessato di bere il sangue umano. Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra. È arrivata l’ora di organizzare la pace”». Nel decennale dalla sua scomparsa la Comunità Papa Giovanni XXIII ha ritenuto la proposta di un Ministero della Pace attuale e urgente.

E’ una proposta che ci sentiamo di appoggiare.

E per finire, voglio fare mio anche   l’appello del Capo dello stato ai giovani  “Nell’anno che si apre ricorderemo il centenario della vittoria nella Grande guerra e la fine delle immani sofferenze provocate da quel conflitto. In questi mesi di un secolo fa, i diciottenni di allora – i ragazzi del ’99 – vennero mandati in guerra, nelle trincee. Molti vi morirono. Oggi i nostri diciottenni vanno al voto, protagonisti della vita democratica”.

Non solo voi diciottenni, ma tutti voi giovani siate i protagonisti  di una nuova stagione di pace.

Cari amici, grazie a tutti voi perché questa sera, come per il resto dell’anno, avete scelto di essere nostri compagni di strada, per  continuare a trasformare le nostre lance in falci, le spade in aratri, le nostre ferite in feritoie, le nostre polemiche, le nostre divisioni  e le nostre resistenze in strumenti di lavoro e di pace.

E ,come ogni anno con don Tonino Bello: In piedi costruttori di Pace!


Articolo di Attilio Sergio sulla Gazzetta del Sud del 02.01.18

POLISTENA – Nonostante il vento e la pioggia, a Polistena, per il 30^ anno consecutivo, si è marciato, scendendo in strada, per la pace, per l’integrazione, contro la cultura mafiosa e l’illegalità diffusa. In tanti, ieri sera, primo giorno dell’anno, hanno preso parte all’iniziativa organizzata dall’associazione “Il Samaritano” guidata da don Pino Demasi, in collaborazione, quest’anno, con il Centro polifunzionale Padre Pino Puglisi guidato da Giuseppe Politanò, “Libera” ed i giovani del Servizio civile nazionale della parrocchia del Duomo. Il primo momento è stata l’accoglienza da parte di don Pino Demasi, nella Chiesa della Santissima Trinità – Santuario Maria Santissima dell’Itria. “La pace è possibile -ha detto don Pino nel suo saluto iniziale- ed è il bene più prezioso dell’umanità.

Un popolo in marcia scende in strada -ha aggiunto- nella convinzione che la pace non è solo assenza di armi che uccidono, ma è dignità di vita, speranza in un futuro migliore”. Per don Pino Demasi, la pace va costruita a partire dal territorio, così intriso di cultura mafiosa e quindi d’illegalità diffusa, in modo da costruire città di pace”. Un ruolo importante, secondo don Demasi, spetta alla politica che deve tornare ad essere motore di civiltà e progresso. “Questo territorio non può continuare ad essere un luogo dove il lavoro e la salute non siano diritti sacrosanti dei cittadini. -ha detto don Pino- La politica  ad ogni livello deve finire di giocare a ping-pong. Questo vale nei confronti dei calabresi e nei confronti dei   migranti. Non è possibile assistere più ad un inferno chiamato baraccopoli San Ferdinando – Rosarno.

Come non è possibile che 800 mila bambini e ragazzi già italiani per essere nati nel nostro Paese, sono stati delusi nella loro richiesta di essere riconosciuti come tali”. Don Pino, ricordando don Oreste Benzi, nel decennale della scomparsa, ha fatto propria, ritenendola attuale ed urgente, la proposta di un Ministero della pace. Don Pino, l’ultimo pensiero lo ha dedicato ai giovani, tanti quelli presenti alla Marcia di Capodanno, ai quali ha detto: “dovete essere protagonisti di una nuova stagione di pace”. Il corteo, aperto dallo striscione degli studenti dell’Itis avente per slogan “Migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”, subito dietro l’arcobaleno della pace, ha attraversato il cuore della città. In marcia, con i sindaci e don Pino, anche il vescovo Francesco Milito. In via Trieste la prima sosta durante la quale, due giovani africani, ospiti della tendopoli di San Ferdinando, hanno lanciato un disperato SOS d’aiuto.

La seconda sosta sul piazzale Suor Maria Teresa Fioretti, dove, Alessandro, volontario del coordinamento sbarchi dElla Caritas di Reggio Calabria, ha raccontato momenti di “vera accoglienza” al porto di Reggio. La terza tappa in piazza della Repubblica, dove dopo Tomas, giovanissimo della parrocchia, ha preso la parola Giovanni Manoccio, ex sindaco di Aquaformosa, delegato all’immigrazione della Regione Calabria. Dopo l’accoglienza, oggi, ha sottolineato Manoccio, la scommessa è rappresentata dall’integrazione, una scommessa di coraggio, per dare dignità e un’altra possibilità di vivere a tanti fratelli migranti, verso i quali c’è bisogno di corridoi comunitari. Il corteo è quindi giunto in duomo, dove, si è tenuta la solenne Concelebrazione Eucaristica conclusiva con l’invocazione della pace presieduta dal vescovo diocesano monsignor Francesco Milito.

Alla manifestazione era presente il sindaco Tripodi, l’intera giunta municipale e il presidente del consiglio Borgese, sindaci ed assessori dei Comuni di Galatro, Melicucco, Cinquefrondi, Taurianova, Scido, il consigliere metropolitano Giuseppe Zampogna, le comunità parrocchiali e tutto il mondo dell’associazionismo e del volontariato.

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